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Domande Frequenti

Ecco le risposte alle domande frequenti che cercavi

Domande frequenti in Psicologia

La consulenza psicologica comprende tutte le attività caratterizzanti la professione psicologica: ascolto, definizione del problema, valutazione ed empowerment, necessari alla formulazione dell’eventuale, successiva, diagnosi. Il counseling si pone l’obiettivo di sostenere, motivare, abilitare o riabilitare il soggetto, all’interno della propria rete affettiva, relazionale e valoriale. Nelle sedute di consulenza si possono esplorare le difficoltà relative ai processi evolutivi o involutivi, alle fasi di transizione e agli stati di crisi anche legati ai cicli di vita, rinforzando capacità di scelta, di problem solving o di cambiamento.
Lo Psicologo

offre consulenze psicologiche, effettua attività di diagnosi e si limita ad attività di sostegno psicologico. È indicato per chi vuole avere una visione preliminare delle proprie difficoltà.

Lo Psicoterapeuta

è uno psicologo o un medico che ha conseguito una specializzazione almeno quadriennale in Psicoterapia. È indicato per il trattamento di una vasta gamma di disturbi: dal lieve disagio personale causato da circostanze esterne a problemi sessuali, relazionali, psicosomatici, attacchi di panico, depressione, disordini dell’alimentazione, e qualsiasi disagio che influisce con il benessere dell’individuo.

Lo Psichiatra

è un medico specializzato in Psichiatria. Utilizza metodi, tecniche e strumenti di tipo fisico e farmaceutico, che sono propri della psichiatria. È indicato per l’assunzione di una terapia farmacologica volta al contenimento del disagio.

Lo Psicanalista

è uno psicoterapeuta che ha concluso un percorso di analisi didattica con un analista della S.P.I. e che è stato da giudicato idoneo all’esercizio della professione. È indicato per coloro che desiderano iniziare un percorso di autoconoscenza profonda.

Il neuropsicologo

è uno psicologo con una specializzazione in Neuropsicologia o che dimostri di avere delle competenze specifiche e comprovate nel settore. È indicato per tutti coloro che hanno sviluppato dei deficit cognitivi in conseguenza ad un danno cerebrale o soffrono di malattie neurologiche.

Decidere di rivolgersi a uno psicoterapeuta non è un passo semplice ma è il primo passo per cambiare. Un percorso di psicoterapia può essere fondamentale per risolvere le situazioni di sofferenza (stress, attacchi di panico, ansia, difficoltà relazionali, familiari, di coppia, sessuali,…) ma anche per conoscersi un po’ di più. Lo psicoterapeuta può accompagnarti a comprendere perché agisci in una determinata maniera, perché ti affezioni ad un determinato tipo di persone, perché non riesci a tollerare determinati atteggiamenti e come integrare queste tue peculiarità con il contesto circostante così da permetterti di preservare il benessere anche nei contesti più complessi.

Talvolta i bambini esibiscono comportamenti peculiari o socialmente inaccettabili. Altre faticano molto a scuola, nelle relazioni, non riescono a rispettare le regole o sono pericolosi o dannosi per se stessi o per gli altri. Ci sono situazioni in cui il proprio figlio sembra essere cambiato senza un apparente motivo, non è sereno o appare assente e distante, disinteressato a tutto. In queste circostanze è indispensabile confrontarsi con uno psicoterapeuta per ottenere un parere professionale in merito a quanto sta accadendo. Per i minorenni l’incontro è sempre preceduto dal contatto tra i genitori e lo specialista, in tale occasione la famiglia esporrà la problematica e lo psicoterapeuta fornirà le indicazioni più adeguate per aiutare il ragazzo e l’intero nucleo.
Nell’arco di un secolo, la psicoterapia ha visto un grande sviluppo e si sono formati sempre nuovi approcci fino a poterne contare centinaia. Questa moltitudine di approcci rende difficile e complesso illustrarne le sfaccettature in poche righe. In linea generale vi sono Psicoterapie basate sull’approccio Cognitivo comportamentale che si focalizzano sul comportamento e sul ruolo del pensiero. Le psicoterapie di derivazione cognitivista e/o su modello Comportamentista, si basano sul presupposto che i nostri pensieri determinano i nostri sentimenti e i nostri comportamenti. Vi sono poi psicoterapie di derivazione psiconalitica che prediligono uno sguardo integrato e completo sul paziente, lavorando principalmente sulla complessità del mondo interno individuale e dei rapporti interpersonali. Le difficoltà portate dal paziente vengono trattate indagando e agendo sulle cause, più o meno profonde, ad esse correlate. La psicoterapia familiare sistemica pone al centro le relazioni. Le psicoterapie che rientrano in questo modello pongono in risalto la centralità della famiglia e delle relazioni nelle difficoltà portate dal singolo ed è in questo contesto che vengono trattate. Le psicoterapie corporee vertono sul principio che la persona e la psiche non dipendono solo da attività mentali ma anche da processi biochimici che è importante tenere in considerazione durante il trattamento.
Non è possibile prevedere a priori la durata del trattamento poiché dipende da diversi fattori quali ad esempio: gli obiettivi della psicoterapia e la ragione per la quale si intraprende tale percorso, il tipo di terapia, il contesto all’interno del quale vive il paziente, la disponibilità al trattamento, i fattori esterni.

Sì. La psicoterapia ha lo scopo di promuovere un cambiamento tale da alleviare in modo stabile alcune forme di sofferenza emotiva accompagnando l’individuo in un viaggio nel proprio mondo interno. L’obiettivo di un percorso di psicoterapia è aiutare la persona a vivere meglio.

La terapia di coppia è un valido strumento per aiutare le coppie a identificare le difficoltà che stanno vivendo, favorire e mediare il confronto tra i due e trovare un’efficace soluzione che permetta di ritrovare la serenità e la complicità. Tale processo è caratterizzato dall’acquisizione da parte dei soggetti coinvolti di nuovi modi di relazionarsi a sé e all’altro che promuovano il cambiamento per il benessere della coppia.

La psicoterapia con i bambini si sviluppa su due fronti. Il primo e molto importante è la collaborazione dei genitori: è infatti molto difficile aiutare un bambino a stare meglio se la famiglia non collabora. Il genitore viene definito “coteraeuta” poiché è proprio dalla cooperazione con lo specialista che nasce e si consolida il processo di cambiamento nel bambino. Il secondo è il trattamento diretto con il bambino. Nella stanza di psicoterapia il bambino ha la possibilità di esprimere le proprie emozioni, i vissuti, le paure, i conflitti e le difficoltà. Attraverso il gioco, il disegno e la relazione egli racconta ciò che vive e permette al terapeuta di interagire per generare un cambiamento volto al raggiungimento del benessere.

È una forma di intervento finalizzato alla cura e al sostegno della salute mentale e del benessere psicofisico.Si avvale dell’ arte come mezzo di comunicazione per esprimere sentimenti, facilitare la riflessione e promuovere il cambiamento. Può essere applicata in vari contesti, da quello educativo-formativo, a quello sanitario e anche in quello preventivo.

L’incontro con l’arteterapeuta avviene- in ambito clinico- solitamente in una grande stanza luminosa, piena di materiali: fogli, matite, pennarelli colorati, creta,materiale di riciclo, stoffa, gomitoli di lana, forbici, scotch, colla. L’atelier è  uno spazio rassicurante e di sostegno; qui si può creare, immaginare e rappresentare. Le opere prodotte sono un’espressione diretta, immediata, spontanea, arcaica ed istintiva di chi le compone.

No. L’attenzione non è volta al prodotto finale ma al processo creativo e dinamico che ha permesso di creare l’opera.Nell’arteterapia si coglie il significativo, il comunicativo. In questo contesto i canoni di bellezza non esistono, ciò che conta è la comprensione, l’accettazione e la contemplazione di ciò che la persona intende comunicare con la propria opera.

Il Neurofeedback è uno strumento di automodulazione e autoregolazione del proprio cervello attraverso l’utilizzo del gioco. Viene registrata l’attività elettroencefalografica che il computer trasforma in un videogioco proiettato sul monitor del paziente; il gioco funziona solo se vengono mantenute determinate condizioni stabilite dal terapeuta, fornendo un feedback della propria attività cerebrale in tempo reale. In questo modo il cervello apprende come produrre onde cerebrali in determinate ampiezze, fino ad avvicinarsi o a raggiungere il livello di attività desiderato.

No, è una tecnica priva di effetti collaterali. Non viene somministrata alcun tipo di stimolazione al cervello, ma viene solo registrata l’attività elettroencelografica e restituita come feedback sotto forma di videogioco.

No, il Neurofeedback può essere utilizzato anche per il rilassamento e per migliorare le proprie performance cognitive, sportive, scolastiche, lavorative ecc…

Il Neurofeedback è consigliato a partire dall’età scolare. Noi preferiamo utilizzarlo a partire dagli 8 anni di età per ottenere un’adesione al training ottimale.

Prima dell’inizio del training viene effettuata una EEG finalizzata ad ottenere una mappa cerebrale che mostra se e dove vi siano delle alterazioni nell’attività cerebrale, evidenziando i pattern disfunzionali. In seguito, unendo le informazioni derivanti dalla mappa e dall’anamnesi viene stabilito il protocollo iniziale, che viene monitorato e, se necessario, modificato durante il percorso.

E’ una disciplina che unisce i saperi della psicologia e della neurologia per la diagnosi e il trattamento dei deficit cognitivi che possono presentarsi a seguito di diverse patologie. Tali deficit riguardano l’attenzione, la memoria, la capacità di organizzarsi nella vita di tutti i giorni, il linguaggio, il riconoscimento degli oggetti, l’esecuzione di movimenti volontari ecc…

È uno psicologo con una specializzazione in Neuropsicologia o che dimostri di avere delle competenze specifiche e comprovate nel settore.

Il Neurologo è un medico che si occupa prevalentemente della diagnosi e del trattamento farmacologico di patologie neurologiche come l’ictus, la demenza, la malattia di Parkinson, la sclerosi multipla e di patologie neurologiche dell’età evolutiva (in questo caso si chiama Neuropsichiatra infantile). Il Neuropsicologo, invece, si occupa della diagnosi e del trattamento dei deficit cognitivi e comportamentali che conseguono a tali patologie mediante test neuropsicologici e sedute di stimolazione cognitiva.
Tutti coloro che hanno sviluppato dei deficit cognitivi in conseguenza ad un danno cerebrale (ictus, trauma cranico, demenza, sclerosi multipla, malattia di Parkinson ecc…) siano essi adulti che bambini. Inoltre, si occupa della diagnosi e riabilitazione dei minori con disabilità intellettiva (ritardo mentale), DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), ADHD (deficit dell’attenzione/iperattività) ed altri ancora.
Dipende dalle difficoltà presenti e, soprattutto, dalla capacità di apprendimento del cervello in funzione della sua plasticità. Solitamente il trattamento consiste in una o due sedute settimanali di 45-50 minuti l’una e mediamente ha una duranta di 6 mesi. In caso di ritardo mentale o demenza, il trattamento può essere continuativo anche per anni.

Sono esercizi carta-matita, computerizzati o neuropsicofisiologici (es. il Neurofeedback)

L’obiettivo della psicomotricità relazionale è di sostenere la crescita psicofisica, emotivo/relazionale del bambino utilizzando metodi e tecniche ludiche a mediazione corporea. L’intervento di aiuto psicomotorio può essere realizzato in forma individuale o di gruppo e varia, di modalità e durata, secondo il bisogno specifico di ogni singolo bambino. La psicomotricità relazionale può essere considerata anche un’esperienza educativa originale che ha lo scopo di favorire la costruzione dell’identità personale da parte del bambino, entrando in contatto con le proprie emozioni, scoprendo i movimenti del suo corpo e conoscendo alcuni aspetti cognitivi di sé.
La psicomotricità relazionale è rivolta prevalentemente a bambini in età prescolare.

FAQ in Neuropsicomotricità

Il TNPEE è un professionista sanitario che svolge interventi di prevenzione, valutazione e riabilitazione delle funzioni neuropsicomotorie esclusivamente dell’età evolutiva.
TNPEE è la sigla che indica il Terapista della NeuroPsicomotricità dell’Età Evolutiva; un sinonimo è neuropsicomotricista.
Il neuropsicomotricista è un professionista sanitario che ha conseguito la laurea triennale, sotto la facoltà di Chirurgia e Medicina, in Terapia della NeuroPsicomotricità dell’Età Evolutiva. Dal 2018 sono stati istituiti un ordine e un albo che raggruppano tutti i neuropsicomotricisti.
Sì. Sono due figure diverse, lo psicomotricista ha conseguito il titolo di studio con corsi specialistici, concentra l’intervento sugli aspetti relazionali e psico-affettivi del bambino, e non è una figura sanitaria. Spesso neuropsicomotricista e psicomotricista collaborano.
La terapia della neuropsicomotricità dell’età evolutiva consiste in interventi di prevenzione, valutazione e riabilitazione delle funzioni neuropsicomotorie esclusivamente dell’età evolutiva. La psicomotricità relazionale opera sia in campo educativo-preventivo che di aiuto-supporto riabilitativo in quei bambini con diverse tipologie di deficit. L’obiettivo è sostenere la crescita psicofisica, emotivo/relazionale del bambino utilizzando metodi e tecniche ludiche a mediazione corporea.
Nella stanza di neuro-psicomotricità niente è lasciato al caso: lo spazio viene allestito e modificato in base alle caratteristiche del bambino e agli obiettivi della seduta. Si utilizzano giocattoli quotidiani, giochi sensoriali (per esempio sonagli, strumenti musicali, giochi tattili), giochi sensomotori (tappetoni, palle e palloni, solidi psicomotori, teli, cerchi, corde…), materiali manipolativi (pongo e simili), materiali per il gioco simbolico, giochi da tavolo, materiali grafici. molto importanti sono inoltre i materiali riabilitativi specifici.
Ad individuare la necessità di una Valutazione e/o trattamento può essere una figura medica come il Pediatra, il Neuropsichiatra Infantile, il Foniatra o il Fisiatra, oppure una figura riabilitativa come il Logopedista, l’Ortottista o il Fisioterapista o ancora uno Psicologo/psicoterapeuta. Anche la scuola può consigliare una visita dal neuro-psicomotricista. Ultimo ma non meno importante, la famiglia può decidere in autonomia di rivolgersi a un neuro-psicomotricista.

Le cosiddette aree neuro-psicomotorie sono:
– la motricità globale: coordinazioni cinetiche, coordinazioni oculo-manuali globali, equilibri
– la motricità settoriale: il controllo segmentario di mani e dita, le prassie (ideo-motorie, visuo-costruttive etc)
– lo schema corporeo
– l’organizzazione spaziale e temporale
– le abilità visuo-costruttive
– la grafo-motricità (disegno, coloritura e scrittura)
Tutte queste aree sono strettamente connesse agli aspetti cognitivi, attentivi e comunicativo-relazionali.

lo sviluppo neuro-psicomotorio è il processo in cui gli aspetti motori, cognitivi e relazionali si intrecciano in modo armonico.Si parla di “fasi” di sviluppo, che sono periodi di acquisizione delle competenze, legati alla maturazione del sistema nervoso centrale. Ogni bambino ha tempi e stili diversi.

Domande frequenti in Logopedia

La valutazione logopedica è il momento più importante che precede qualunque percorso di riabilitazione/ rieducazione del linguaggio. Dopo un primo colloquio con uno o entrambi i genitori, in cui vengono raccolte le informazioni che riguardano lo sviluppo del bambino dalla nascita fino al momento in cui arriva allo studio del logopedista, si procede con una serie di sedute in cui vengono predisposti dei momenti di osservazione nel gioco, con o senza il genitore e, se l’età e la collaborazione del bambino lo consentono, si somministrano dei test standardizzati. Spesso vengono forniti dei questionari ai genitori e si visionano dei filmati casalinghi o registrati in studio. Al termine di questo percorso, il logopedista sarà in grado di definire il profilo comunicativo-linguistico del bambino, conoscerà i suoi punti di forza e di debolezza ed esporrà ai genitori la necessità o meno di una presa in carico immediata, andando a definire gli obiettivi su cui si lavorerà, il tipo di frequenza necessario (una, due o tre sedute a settimana) ed eventuali visite specialistiche da effettuare (visita neuropsichiatrica, foniatrica, esame audiometrico ecc.…).
Non è mai troppo presto! Spesso sentiamo dire che il bambino non è pronto per la logopedia o che non sia il caso di rivolgersi allo specialista prima dei tre anni di età. Questa idea errata determina un accesso tardivo ai servizi di logopedia e rischia di privare il bambino di un intervento precoce a priori. E’ importante invece che il ritardo manifestato dal piccolo sia analizzato in modo da comprendere se si tratti di un semplice rallentamento, che può avere un’evoluzione positiva spontanea, o se invece sussistano altri fattori di rischio da non trascurare (ad esempio scarsa comprensione del linguaggio altrui, mancanza di attenzione condivisa e di contatto oculare, scarso uso della gestualità, familiarità positiva per disturbi di linguaggio ecc.).Il compito del logopedista, in seguito ad un colloquio approfondito con i genitori e l’osservazione del bambino, è quello di comprendere se sia necessaria una presa in carico immediata o se sia sufficiente monitorare l’evoluzione del linguaggio nel tempo, intervenendo in maniera indiretta sul bambino. Intervenire indirettamente significa rendere i genitori parte attiva nello sviluppo del linguaggio del bambino, insegnando loro le strategie più adeguate da applicare nella vita quotidiana. Quindi è sempre un bene, in caso di dubbi e perplessità, chiedere il parere di un esperto.
La risposta è ASSOLUTAMENTE NO! Comunicare significa “mettere in comune” delle informazioni e delle conoscenze e collaborare in questo processo. Il bambino comunica per mostrare le sue scoperte e per chiedere nuove informazioni: se quasi sempre riceve come risposta un “non ho capito” nessuna informazione viene condivisa e la comunicazione si blocca. Fingere di non capire significa fornire un’informazione falsa. La componente non verbale della comunicazione (tono della voce, gestualità) tradisce quasi sempre l’adulto e questo confonde il bambino. Fingendo di non capire si richiede al bambino di riformulare meglio il proprio messaggio, ma siamo sicuri che il piccolo non stia già facendo del suo meglio? Offriamogli piuttosto uno strumento per evolvere: per esempio possiamo riproporre la parola nel modo corretto. Vediamo insieme degli esempi Il bambino chiede dell’acqua dicendo: “Voio appa” Il genitore in questo caso può agganciarsi alla produzione del bambino riformulandola in maniera corretta: “Ho capito vuoi l’acqua”. Il bambino gioca con gli animali della fattoria e dice: “Mucca pappa”. In questo caso la produzione del bambino non presenta delle alterazioni di tipo fonetico-fonologico ed è composta da una prima forma di combinazione tra due parole. Per stimolare il passaggio alla fase più evoluta l’adulto può intervenire aggiungendo dei particolari alla frase del piccolo: “Si, la mucca fa la pappa, che buona!” Al seguente link è possibile scaricare il file “le dieci regole per una buona comunicazione” elaborate dai logopedisti della FEDERAZIONE LOGOPEDISTI ITALIANI – PIEMONTE https://www.flipiemontelogopedia.it/giornata-europea-della-logopedia-2015/giornataeuropea-della-logopedia-2013/

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